Sentenze commentate: il divieto di accompagnamento coattivo del querelante all’udienza

Si ritiene interessante sottoporre all’attenzione la sentenza del 28.06.2023 depositata il 1° agosto del 28.06.2023 con cui viene dichiarato inammissibile il ricorso e condannato al pagamento delle spese processuali per la disposizione della comparizione coatta del testimone.

Il Tribunale di Milano in composizione monocratica, all’udienza del 28 marzo 2023, nell’ambito del procedimento nei confronti di __________ per il reato di cui all’art. 646 cod. pen., rilevata la mancata comparizione del teste __________. Seppure ritualmente citato, ne ha disposto l’accompagnamento coattivo per la successiva udienza di rinvio.

Ricorre per Cassazione il suddetto imputato, a mezzo del proprio difensore, assumendo la natura di atto strutturalmente abnorme della suddetta ordinanza dibattimentale, in quanto emessa dal giudice in assenza di poteri previsti dall’ordinamento ovvero in una situazione radicalmente diversa da quella configurata dalla legge. Il codice di rito prevede infatti, ad oggi, il divieto di accompagnamento coattivo del querelante all’udienza in cui sia stato citato a comparire come testimone, limitatamente ai casi in cui la mancata comparizione integrerebbe remissione tacita di querela (art. 133, comma 1-bis, cod. proc. pen.).

Dovendosi riconoscere in capo al suddetto la qualità di querelante, il provvedimento impugnato sarebbe stato emesso al di là di ogni ragionevole limite, precludendo all’imputato la definizione per estinzione del reato ai sensi dell’art. 152, terzo comma, n. 1, cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, perché occorre rilevare – preliminarmente rispetto

a qualsiasi valutazione sulla asserita abnormità dell’atto – come l’impugnazione non risulti sorretta da un concreto interesse (nello specifico, l’interesse a vedere riconosciuta la sopravvenuta improcedibilità del reato contestato per intervenuta rimessione tacita di querela per mancata comparizione).

Ai sensi dell’art. 152 cod. pen., si ha remissione extraprocessuale tacita della querela, quando il querelante ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela. L’art. 1, comma 1, lett. h), d.lgs. 10 ottobre 2022, in vigore dal 30 dicembre 2022, ex art. 6, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, ha novellato tale disposizione, introducendo, al n. 1 del nuovo terzo comma, una forma di remissione processuale tacita, che si ha «quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all’udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone».

Nella generalizzata ottica della recente riforma, tesa a far dipendere, per un

ampio novero di reati, la permanenza dell’illecito nella sfera del penalmente rilevante da una manifestazione di volontà della persona offesa effettivamente interessata all’accertamento di fatti e responsabilità da parte dell’autorità giudiziaria, la norma recepisce e formalizza una prassi diffusa nella quotidianità giudiziaria, dettata da chiari intenti deflattivi oltre che di giustizia sostanziale, avallata dal massimo consesso di legittimità (Sez. U, n. 31668 del 23/06/2016, Pastore, Rv. 267239, secondo cui integra remissione tacita di querela la mancata comparizione all’udienza dibattimentale del querelante, previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela. Conformi, da ultimo, Sez. 5, n. 42334 del 20/10/2022, De Luca, non massimata, e Sez. 4, n. 5801 del 29/01/2021, Statuetta, Rv. 280484).

Per evidenti ragioni di coordinamento di sistema, è stato del pari introdotto il citato comma 1-bis dell’art. 133 cod. proc. pen, che limita il potere di disporre l’accompagnamento coattivo del testimone e di altri soggetti processuali, qualora la mancata comparizione del querelante integri una remissione tacita della querela.

La Relazione illustrativa connota questo meccanismo processuale in termini di automaticità in presenza dei presupposti di legge, coerentemente con la

nettezza della formulazione della norma di nuovo conio.

A presidio della tutela di soggetti deboli a qualsiasi titolo, è però esplicitamente posta la previsione dell’art. 152, quarto comma, cod. pen., che esclude l’applicazione della “nuova” causa di remissione tacita in caso di persone offese minorenni, incapaci o in condizioni di particolare vulnerabilità ai sensi dell’art. 90-quater cod. proc. pen. e comunque – onde scongiurare il rischio che eventuali negligenze del rappresentante possano risolversi in una diminuzione di tutela per gli interessi sostanziali del rappresentato – in tutte le situazioni in cui il querelante non comparso sia persona che ha proposto querela agendo in luogo della persona offesa e nell’assolvimento di un dovere di carattere pubblicistico (come, ad esempio, gli esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori, gli amministratori di sostegno a ciò autorizzati, i curatori speciali).

D’altronde, in maniera sistematicamente inevitabile (e in linea di continuità con la riflessione giurisprudenziale i cui esiti sono stati poi trasfusi nella Novella; cfr. Sez. 3, n. 36475 del 07/06/2019, B., Rv. 277555, secondo cui i fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela devono essere non equivoci, obiettivi e concludenti e vanno di volta in volta valutati dal giudice di merito, con apprezzamento insindacabile nel giudizio di legittimità), occorre nondimeno ancorare l’attivazione della sequenza procedimentale diretta all’accertamento della sopravvenuta improcedibilità per facta concludentia ad una valutazione non superficiale del requisito della mancanza di giustificazioni della mancata comparizione. Proprio per questo motivo, peraltro, il legislatore ha ritenuto superflua l’introduzione di un’espressa clausola di salvaguardia rispetto a ogni forma di indebito condizionamento, analoga a quella prevista dall’art. 500, comma 4, cod. proc. pen.

Ad ogni buon conto, la disposizione derogatrice di cui all’art. 133, comma 1-

bis, cod. pen., limita il proprio ambito operativo ai soli casi in cui la remissione

tacita di querela «è consentita».

Spetterà dunque al giudice, anche di ufficio, svolgere ogni utile verifica in

tema di sussistenza o meno del giustificato motivo richiesto dalla fattispecie processuale, in particolare laddove emergano circostanze da cui poter fondatamente desumere la sussistenza di violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o altre utilità ovvero comunque un’illecita interferenza. Solo all’esito di un simile doveroso controllo (laddove necessario), l’eventuale assenza del querelante potrà essere interpretata come fatto incompatibile con la volontà di voler ulteriormente insistere per la punizione del colpevole.

Nel caso di specie, impregiudicata ogni valutazione di stretta pertinenza della giurisdizione di merito, difetta, come detto, un interesse processuale tangibile del ricorrente, dal momento che, se è già maturato – a seguito di un’assenza del testimone/querelante effettivamente ingiustificata – il presupposto per la declaratoria di improcedibilità per remissione tacita della querela, in presenza di tutti i requisiti di legge, tale fatto processuale non potrà venire meno per il solo provvedimento di accompagnamento coattivo. Qualora, al contrario, la conseguenza tipica dell’assenza non potesse verificarsi per qualsivoglia motivo, difetterebbe a maggior ragione l’interesse a ricorrere.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

Non segue, attesa la novità della questione, l’ulteriore condanna al pagamento, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 28/06/2023

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